Insegnare ad apprendere

Elaborato a cura di Roberto Tavola

(Pubblicato sulla rivista “New Volley Time” – periodico mensile)

Ci sono principi dell’insegnamento che servono per rispondere a domande che spesso ci si pone. I principi sono quelli che la scienza chiama “educazione motoria”. Tutto quello che un allenatore fa in allenamento dovrebbe essere influenzato da tali principi, contribuendo in tal modo a rendere più efficace il cosiddetto “apprendimento motorio”.

Supponiamo che si voglia insegnare la schiacciata ai propri atleti: si deve subito decidere come proporre i nuovi concetti. Si deve dimostrare la tecnica o no? Se si, come spiegarla? La spiegazione deve essere ampia o concisa? Si deve spiegarla mentre la si dimostra? Cosa si dovrebbe dire e quanto? Queste sono solo alcune domande a cui un allenatore è obbligato a rispondere ed è la ricerca sulla scienza motoria a trovare delle risposte, seguendo linee molto precise.

Scienza motoria e pallavolo

In uno studio approfondito sull’apprendimento motorio (applicato alla pallavolo) si è sviluppato un modello in cui l’atleta: 1) determina l’obiettivo generale del compito da imparare  2) formula un progetto da usare nella prima prova  3) dà una risposta  4) aspetta il feedback  5) decide come riprovare  6) ripete il processo.  Parallelamente all’atleta anche l’allenatore decide i suoi possibili interventi. La scienza motoria suggerisce di:

 1) presentare gli obiettivi (aiuta i giocatori a capire come eseguire i fondamentali di gioco)

 2) sviluppare il programma motorio (pianificare l’attività, solo così i fondamentali vengono allenati in modo efficace)

 3) migliorare le risposte

 4) informare i giocatori dei risultati (in feedback) su quello che hanno fatto

Gli allenatori possono aiutare i giocatori a capire come eseguire le tecniche di gioco limitando le informazioni che danno ed utilizzando un metodo di insegnamento che faciliti l’apprendimento.

Poche informazioni ma buone

Un concetto principale di apprendimento motorio è che gli allievi hanno una limitata capacità di seguire le informazioni. Si può facilitare l’apprendimento riducendo al minimo le informazioni che si presentano quando si fissa un obiettivo; se si presentano troppi dettagli subito, gli atleti non potranno ricordarne facilmente molti.

Parecchi allenatori parlano troppo. Conoscono benissimo la pallavolo e vogliono mostrare tutta la loro conoscenza agli atleti (altri invece non sanno molto, ma amano molto parlare). Bisogna ricordare, mentre si parla, che gli atleti possono ricevere più informazioni di quante possano realmente usarne e inoltre non stanno allenandosi. Quindi presentando un obiettivo, per evitare questo tipo di problemi, è utile impiegare due strategie: dimostrazioni e chiavi. LE DIMOSTRAZIONI PRATICHE. Gli studi sull’apprendimento hanno scoperto che la memoria conserva l’informazione del movimento attraverso l’immagine. Ha senso, dunque, dare delle informazioni in forma di immagini per dimostrare il movimento. Le persone imparano la maggior parte delle cose più rapidamente quando hanno visto ripetute dimostrazioni. Gallwey, nel suo libro “I segreti del tennis”, scrive: “Ogni bravo allenatore deve imparare che le immagini sono meglio delle parole, mostrare è meglio che dire, e troppe informazioni sono peggio che nessuna”. PAROLE CHIAVE. Le sole dimostrazioni però non bastano. Spesso gli allievi prestano attenzione alle informazioni irrilevanti quando l’attenzione non è ben focalizzata. Le parole chiave sono istruzioni brevi e concise che hanno delle importanti funzioni: – concentrano le informazioni – riducono il numero di parole in modo da ridurre i costi nell’elaborazione delle immagini – incoraggiano gli atleti a fare attenzione agli elementi importanti dei fondamentali – migliorano la memoria.

Una parte importante dell’allenamento è decidere quali parole chiave usare per insegnare le tecniche e l’ordine in cui presentarle. Il giusto mix fra dimostrazioni pratiche e parole chiave dà un metodo d’insegnamento efficace.

Quale metodo d’insegnamento?

L’importante è dare il giusto carico di informazioni alla giusta velocità. Poiché le parole dicono poco ai principianti, gli allenatori dovrebbero evitare di parlare di continuo, mantenendo invece attivi gli allievi. Bisogna sempre ricordare che gli atleti imparano meglio guardando e facendo. A tal proposito uno studioso di volley (Mc Gown, USA) propone un metodo di presentazione dell’obiettivo, composto dai seguenti passaggi:

 1) Dimostrare la tecnica

 2) Lasciare che gli atleti provino il fondamentale; per valutare le loro capacità e decidere che suggerimenti chiave dare

 3) Dimostrata la tecnica, focalizzare la loro attenzione su una chiave particolare

 4) Lasciare che gli atleti si esercitino e dare dei feedback di controllo sulla chiave

 5) Dimostrare praticamente la tecnica di gioco focalizzando l’attenzione sul concetto chiave successivo

 6) Lasciare che gli allievi lo eseguano, valutando l’esecuzione in feedback sulla nuova chiave

 7) Ripetere il processo fino a che tutti i punti chiave siano stati trattati

Il difficile, per gli allenatori, è scegliere i concetti chiave mettendoli nel giusto ordine ed alla giusta velocità. Il successo nell’apprendimento dipende proprio da qui. Quando si insegna il bagher ai principianti è sufficiente dare quattro indicazioni: 1° mettete polsi e mani insieme, 2° colpite la palla con gli avambracci, 3° tenete i gomiti distesi, 4° fronteggiate la palla ed angolate le braccia. La maggior parte dei fondamentali possono essere insegnati dando anche meno di quattro indicazioni. L’importante è continuare a lavorare su di una indicazione fino a quando gli atleti non compiono qualche progresso, per passare poi alla successiva.

Un bell’esempio di questo metodo lo dà sempre Mc Gown, in un suo articolo sull’insegnamento ai bambini, che dice: “Ricordate, anche, che i bambini imparano meglio attraverso l’imitazione. Una discussione sulla spinta orizzontale del salto, sulle angolazioni ottimali, sulla conversione della forza e quant’altro, non potrà mai formare i migliori schiacciatori. Mostrate, invece, cosa fare. Anche il più semplice salto è composto da vari elementi ed è spesso un errore provare a sottolinearli tutti nello stesso tempo. Un principiante non può concentrarsi simultaneamente sulla rincorsa, sul tempo di salto, sulla rotazione del braccio, sulla posizione della palla, sul contatto e sulla ricaduta. Piuttosto, dopo una introduzione generale sulla schiacciata, è meglio concentrarsi su un solo elemento per volta. Per esempio, all’allievo fate effettuare una schiacciata completa, concentrando l’attenzione solo sul lavoro dei piedi alla fine della rincorsa. Non preoccupatevi se il resto dell’attacco non è giusto, ma sottolineate solo gli ultimi due passi. Poi, quando l’elemento particolare è diventato un’abitudine ben fissata, occupatevi di un altro aspetto della schiacciata…”. La regola allora è: ogni cosa diventi automatica prima di passare ad altro.

Come applicare questi concetti in allenamento?

Questi concetti si applicano alle tre aree principali dell’allenamento: metodologie, esercizi e valutazione delle capacità. METODOLOGIE.In alcuni libri (ormai passati di moda) si incontrano lunghissime progressioni didattiche sull’insegnamento di un fondamentale, con svariati esercizi che nulla hanno a che vedere con la realtà stessa del fondamentale. Mi è capitato anche di assistere a dimostrazioni in cui gli allievi eseguivano decine di esercizi prima di arrivare ad eseguire il gesto tecnico in questione. Simili metodologie sono sicuramente un modo inefficace per far apprendere le abilità motorie nella pallavolo. Per insegnare (senza perdere tempo) occorre affidarsi a due regole: 1) limitare il numero delle progressioni 2) le progressioni utilizzate devono essere, il più possibile, simili al gioco della pallavolo.ESERCIZI. Gli esercizi devono essere simili al gioco e pensati per sviluppare specifici programmi motori. Quando si sviluppano gli esercizi, si deve considerare con attenzione il modo di eseguire i fondamentali in gioco, affinché gli esercizi siano il più possibile vicini al gioco. In proposito Dunphy (allenatore della nazionale USA) diceva che “il miglior modo per allenare il bagher è ricevere-alzare-schiacciare., il miglior esercizio di alzata è ricevere-alzare-schiacciare, per insegnare a schiacciare bisogna ricevere-alzare-schiacciare e il miglior esercizio per la difesa è ricevere-alzare-schiacciare-difendere”. Tutto questo per migliorare il transfert, cioè l’unico scopo di un esercizio. VALUTAZIONE DELLE CAPACITA’. E’ opinione ormai consolidata che non possiamo sapere come un atleta giocherà se non lo osserviamo prima in situazione di gioco, cioè in partita. Le valutazioni tecniche (o anche fisiche) di abilità non dovrebbero quindi essere gli elementi più importanti per valutare un giocatore o una squadra. Per capire chi gioca meglio (o come una squadra gioca) è indispensabile osservare la situazione reale di competizione che può essere riprodotta anche in allenamento. Il compito fondamentale di un allenatore (di qualsiasi livello) è organizzare l’attività , all’interno dell’allenamento, in modo che gli atleti provino e trovino molte risposte efficaci. Gli strumenti per realizzare ciò sono gli esercizi giusti messi nella giusta sequenza, alla giusta velocità e con giusto carico. Un compito decisamente difficile eppure è proprio qui che si fa la differenza, soprattutto in fase di apprendimento motorio. In generale è un discorso valido per qualunque squadra e per qualunque sport, ma acquista una particolare importanza in età giovanile o in particolari situazioni in cui la crescita (individuale o di squadra) è determinante per il risultato finale. Spesso in allenamento ci si chiede se un esercizio è realmente utile per risolvere un problema, ma raramente ci si pone la domanda su come va proposto, quando realizzarlo e con che obiettivi si sviluppa. A questo proposito cercherò di rispondere ad alcune semplici domande, forse anche un pò banali, ma che si presentano ogni volta che si affronta un allenamento.

Quanto deve durare un esercizio?

E quindi come deve essere distribuito il lavoro ed il riposo durante l’allenamento? Quando si è deciso (per svariati motivi) di allenare la ricezione per 30 minuti, come programmare il tempo? Meglio allenarsi per tutti i 30 minuti in una volta (attività di massa) o distribuire la durata in blocchi minori (distribuzione dell’attività)? A queste domande ogni allenatore ha probabilmente le sue risposte, ma la scienza motoria è molto chiara in proposito: “raggruppando l’attività si riduce sia la prestazione che l’apprendimento di un’abilità motoria”. Così la metodologia migliore è proprio quella di distribuire i tipi di attività. Quindi turni più brevi di ricezione risulterebbero migliori di una sessione unica più lunga. Ma attenzione, invece di inserire dei riposi tra un turno di ricezione e l’altro, è utilissimo far fare ai giocatori altre attività (come battuta e attacco). Con questo sistema si realizzano i vantaggi di entrambe le attività: attività distribuita (non decade la prestazione e l’apprendimento) e attività massiccia (si ottengono comunque molte ripetizioni). Ovviamente l’abilità di un allenatore sta anche nel saper dare un “filo conduttore” all’allenamento, a seconda delle esigenze della squadra.

I giocatori devono essere stanchi? E quanto?

Dipende tutto da quale punto si è con la preparazione. Se si parla però di apprendimento di qualità tecniche la risposta è una sola: “la fatica riduce sia la prestazione che l’apprendimento di abilità motorie”. In molti cominciano l’allenamento con un lungo riscaldamento e con una fase preparatoria “suicida” che provoca grande fatica fisica. Il motivo è che gli atleti quando giocano sono stanchi, perciò devono imparare le abilità tecniche quando sono affaticati. In parte è vero, ma la scienza motoria non giustifica tale metodo di lavoro, anzi afferma che allenarsi nelle condizioni ideali migliori l’apprendimento, anche se il lavoro viene svolto al di sotto delle condizioni nelle quali normalmente si compie.

Quindi il momento migliore per un condizionamento o potenziamento muscolare deve essere fatto alla fine della seduta nella maggioranza dei casi. Di contro lo sviluppo della parte tecnica e tattica, individuale o di squadra, è preferibile svolgerlo nella parte centrale dell’allenamento, quando il fisico (e la mente) è nelle condizioni migliori per apprendere e crescere.

Per migliorare quali stimoli servono?

Svariati e diversificati. Tuttavia la psicologia applicata allo sport ha dimostrato che l’allenamento mentale può aiutare l’apprendimento delle abilità motorie. Una efficace preparazione psicologica ha queste cinque funzioni fondamentali: – l’abilità motoria cresce in proporzione con la motivazione – l’ambiente della prestazione (palestra, spettatori ecc.) deve essere visualizzato anche nell’allenamento – il fondamentale, nella sua corretta esecuzione, deve essere presente mentalmente nella sua interezza

– il fondamentale deve essere immaginato come quando è stato eseguito con successo – gli atleti devono concentrarsi sull’immaginare sempre come si svolgerà un’azione. L’allenamento mentale è quindi parte importante nella crescita di un giocatore, dai semplici gesti tecnici alla preparazione di una partita. Compito dell’allenatore far riflettere o indirizzare nel modo più idoneo. In età giovanile è poi fondamentale come si propongono le correzioni, stimolando la mente dell’allievo a sviluppare uno schema motorio-mentale (come nei punti precedenti) che servirà poi per il futuro.

Che informazioni dare ai giocatori?

L’allenamento, con tutte le risposte motorie che provoca nei giocatori (feedback motorio), è la parte essenziale per una crescita nelle abilità. Il “feedback informativo” (cioè l’indicazione data all’atleta dopo una risposta motoria) è però considerato la seconda componente per importanza in un processo di apprendimento. Il compito principale di una informazione è permettere che l’allievo valuti la risposta. Viene fornita così una struttura di riferimento in modo che l’atleta possa investigare sugli errori di risposta e provare a correggerli. Il feedback, come risposta alle informazioni, compie anche una importante funzione di stimolo dato che l’informazione positiva ha grande funzione motivante. Se osserviamo i giocatori durante una pausa dell’allenamento, vediamo che sono sempre pronti a fare delle schiacciate e quasi mai fanno dei muri. Il motivo è che l’informazione positiva è prontamente disponibile nell’attacco e più difficile da ottenere a muro. Per questo un allenatore, nell’organizzare l’allenamento, dovrebbe sfruttare l’amore dei giocatori per l’attacco  (nel giovanile poi è fondamentale). I giocatori prediligono fare quelle attività dalle quali ricevono forti e numerosi stimoli positivi. Ci sono due modi per aumentare il fattore motivante: dare degli obiettivi negli esercizi e mettere in competizione.

Obiettivi

A volte svolgere un lavoro meticoloso e programmare periodi precisi per ogni fase dell’allenamento non è sempre utile.

Infatti può accadere, per esempio, di fare al nostro atleta una proposta di questo tipo: “Per te la ricezione è molto importante e per migliorarla farai i prossimi 15 minuti concentrandoti su questo fondamentale. Se ti alleni sodo in ricezione il risultato si vedrà certamente”. Poi osserviamo il giocatore che, in queste condizioni, non si allena bene e finisce l’esercizio senza avere un’idea dei risultati ottenuti.

Qual è il problema allora? Il metodo più giusto è quello di dare un obiettivo al giocatore. Nell’esempio precedente si poteva dire: “Ricevi 50 palloni ed alla fine dovrai dire quanti erano precisi”, oppure: “Finché non ricevi 10 palloni perfetti consecutivamente non puoi smettere di ricevere e ad ogni errore riparti da zero”. Di sicuro i giocatori si alleneranno meglio e più duramente in queste condizioni, con un forte stimolo motivazionale e con la gratificazione finale di sapere qual è il livello raggiunto nell’esercizio. Questi metodi possono essere applicati a qualsiasi situazione di gioco ed il risultato è assicurato, anche se a volte i tempi dell’allenamento non sono completamente rispettati.

Competitività

Un altro modo per aumentare il feedback è quello di mettere in competizione i giocatori fra loro. Quando gareggiano in allenamento (dal semplice esercizio al gioco complesso) imparano ad essere competitivi ed allo stesso tempo ricevono molte più informazioni motorie da riutilizzare nelle eventuali correzioni. Ovviamente non sempre è possibile allenare in termini di competizione, tuttavia questo elemento non dovrebbe mai mancare in un allenamento.

Conclusione

Si chiude qui l’ampio capitolo riguardante l’apprendimento motorio. Ho cercato di avvalermi di principi che la scienza motoria applicata alla pallavolo ha studiato, unendoli alla personale esperienza in palestra.

Lo spunto di riflessione finale riguarda l’allenamento in età giovanile. In generale ogni situazione che viene creata in allenamento porta a delle conseguenze, ma con i giovani assume ancora più importanza il “come” ed il “quando” di una proposta, sempre finalizzando il discorso all’accrescimento delle abilità motorie.